Le “Lodi di Salomone” sono resti dei primi inni cristiani, da scritti cristiani apocrifi (di autore sconosciuto). Questi resti furono sparsi in altri testi e non raccolti in un unico libro, perché il cristianesimo primitivo non aveva un libro come il Libro dei Salmi, di proprietà della comunità ebraica. Gli studiosi contemporanei differivano nel determinare quale lingua fossero le lodi originali: greco, siriaco, aramaico o ebraico? Esiste la possibilità che la sua lingua originale sia il siriaco. Gli scienziati ritengono che le “Lodi di Salomone” siano di origine cristiana provenienti dalla Siria della metà del II secolo d.C. Il suo autore potrebbe essere stato un cristiano di origine ebraica, ed è molto probabile che sia stato scritto ad Antiochia o Edessa.
Le 24 “Lodi di Salomone” sono canti devozionali in prosa equilibrata nello stile dei salmi dell'Antico Testamento e dei canti di Qumran. Non è un libro teologico, nonostante il riferimento a temi teologici come la Trinità, l'incarnazione, la redenzione, la croce, la discesa agli inferi e il battesimo. Troviamo in esso molte suppliche e preghiere caratterizzate da vita, speranza, forza e gratitudine. In generale si basa su testi della Sacra Bibbia nelle sue due epoche per trarne temi e immagini musicali. Sembra anche essere fortemente influenzato dal Libro dei Salmi. Dal punto di vista letterario può essere diviso in due parti: elogi di gruppo ed elogi individuali. Leggeremo insieme alcuni brani di queste lodi.
Nel terzo inno l’autore dice: «Non avrei amato il Signore se Lui non avesse amato me per primo». Questa è un'affermazione dell'amore gratuito di Dio per gli esseri umani. Come si dice nell'inno stesso: “Poiché amo il Figlio, mi farò Figlio. Sì, anche chi si attacca a Colui che non muore diventa immortale, e chi gode della vita diventa vivo”. Qui l'autore ripete in canto ciò che la Chiesa dice teologicamente, soprattutto a partire dal Vangelo di san Giovanni, in quanto il Figlio ci ha fatti figli e ha donato a coloro che credono in lui la vita eterna, affinché chiunque si aggrappa al Cristo vivo non morirà. . Nel quarto inno appare un'idea biblica (Sal 49,9), poi ampliata da sant'Ireneo, vescovo di Lione: «Ci hai concesso di unirci a te, non perché tu abbia bisogno di noi, ma perché noi abbiamo bisogno di te .”
Nel quinto inno, lo scrittore ripone la sua fiducia e speranza nel Signore, dicendo: «Lode a te, o Signore, perché ti amo. O Altissimo, non lasciarmi, perché sei tu la mia speranza. Ho ricevuto la tua grazia gratuitamente ed è ciò che mi mantiene in vita”. La sua fiducia sembra grande, al punto che canta: “Non cadrò”. Anche se l'universo cade, io rimango in piedi. Anche se tutto ciò che appare fallisce, non morirò mai, perché il Signore è con me e io sono con lui”. Nel settimo inno si fa riferimento all'incarnazione del Verbo e alla salvezza venuta con questa incarnazione: «È diventato come me perché potessi accoglierlo, ed è diventato come me perché potessi indossarlo, così lo farò. non temere se lo vedo, perché è misericordia».
Quando parla dello Spirito Santo, lo scrittore di inni usa l'immagine dell'“acqua viva” basata sul Vangelo di Giovanni il Teologo. Dice nel sesto inno: «Tutti coloro che avevano sete sulla terra hanno bevuto e vivranno dell'acqua viva per sempre». Per quanto riguarda l'undicesimo inno, lo scrittore ritorna alla stessa immagine che troviamo nel martire sant'Ignazio di Antiochia (+ 108), il quale dice: «L'acqua viva sussurra dentro di me: Venite al Padre». L'inno dice: “Acqua viva che si accostò alle mie labbra, dalla sorgente del Signore”. Venne generosamente. Ho bevuto e mi sono inebriato dell’acqua viva che non muore mai”. Il ventottesimo inno ci offre un quadro dell'amore dello Spirito Santo per noi: «Come le ali delle colombe si posano sui loro piccoli, così le ali dello Spirito sul mio cuore, e perciò il mio cuore si rallegra e sussulta come un bambino salta nell'abbraccio di sua madre.
Quando leggiamo il quattordicesimo inno, dobbiamo ricordare il tocco filiale di cui parla il Salmo 122, che dice: “Come gli occhi degli schiavi sono nelle mani dei loro padroni”. Lo scrittore di lodi canta: «Come gli occhi di un figlio sono verso suo padre, così i miei occhi sono sempre verso di te, Signore. Hai la mia gioia e felicità. Non privarmi della tua misericordia e non privarmi della tua bontà. Tendi sempre verso di me la tua destra, Signore, e sii la mia guida fino alla fine secondo la tua bontà». Nel ventisettesimo inno c'è un'immagine meravigliosa della sofferenza di Gesù Cristo sulla croce, dove dice: "Le mani tese sono il segno del Signore, e il mio teso è il liuto in posizione verticale". Ciò indica che il cristiano non ha alcun segno, come il suo maestro, se non la croce e l'amore, a cui mi riferisco qui con le mani stese sulla croce. Quanto alla Resurrezione, lo scrittore ne parla in più passi, compreso quanto menzionato nel quarantaduesimo inno: «Ma quelli che credono in me mi supplicheranno perché sono vivo. Sono risorto e sono con loro e parlo con la loro bocca».
In conclusione, lo scrittore fa riferimento al rapporto di Cristo con la sua Chiesa, cioè la comunità dei suoi credenti, e lo paragona all'immagine del matrimonio, ed è ciò che san Paolo apostolo ha preceduto nella lettera agli Efesini. L'autore delle lodi dice: “Ho gettato su loro il giogo del mio amore. Come il braccio di un fidanzato sulla sua fidanzata, il mio giogo è su coloro che mi conoscono, e come una tenda nuziale tesa dallo sposo, il mio amore si estende su coloro che credono in me”. Questo è l'amore nel quale, se dimoriamo in esso, avremo la vita.
Dal mio bollettino parrocchiale 2002